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I Cicli Nel Forex Di Fabry Forex
submitted by I very very much supported Obama back in '08, in part because I hated the Iraq War and the pervasive problems it caused. Obama even won the Peace Prize, before he actually did anything, because it seemed like everything was on the up and up. Obama seemed all but ready to just finish up...kill Bin Laden...boom.
Well, he didn't "finish up". He did "kill Bin Laden". But as a consequence of his actions, there's a lot more "boom" (the bad kind) in a lot more places (specifically, we're bombing seven countries, with an average of bombs/day that'll make your skin crawl). It's one of the biggest reasons I'm always reluctant to say Obama did a good job in office - he reneged on that super-vital promise.
Trump is very much like Obama was. He wants to end the needless wars. He wants to end ISIS, just like Obama wanted to end Al Qaeda. And a lot of people, including myself, have commended him for that sort of thing.
But who's to say Trump won't hear about the "instability" that might cause from the Joint Chiefs of Staff, and particularly from Mattis who operated the USCC? How do you think the odd personality of the Donald will mesh with the military-industrial complex?
I've enjoyed his Lockheed-Martin and Air Force One rants. But like Obama did, Trump has little experience navigating through wars. Sure, he could theoretically be a good trade negotiator, but isn't there the potential for Trump to find himself out of his depth and just default to the war efforts of the existing regime?
submitted by Buongiorno. A Novembre avevo tirato su un'
analisi sulla situazione economica con una breve cronaca dei principali avvenimenti a livello pandemico ed economico sino a quel momento ed avevo provato a stilare un grafico di ipotesi di evoluzione del PIL settimanale.
Credo sia giunto il tempo per una secondo commento di questo tipo, cercando un giusto connubio tra analisi oggettiva e visioni personali. Questa volta non farò un secondo grafico di ipotesi del PIL ma inserirò qualche grafico, sia fatto da me (quelli su Excel in pratica) sia no, di indicatori economici nel discorso per favorire la comprensione degli argomenti che saranno man mano trattati. Ogni dato che menzionerò è preso dall'Istat, dall'Eurostat o dall'Ocse salvo altra indicazione.
I dati della scorsa settimana sul
commercio al dettaglio e sulla
produzione industriale hanno sorpreso positivamente le mie attese e da qui ho intenzione di partire.
La
produzione industriale (modalità desktop da mobile se questa immagine o quelle dopo vengano aperte sfocate) cresce coerentemente all'indice manifatturiero PMI:
qui il grafico dal 2008,
qui l'analisi per l'Italia di Maggio - Markit Economics ogni mese intervista 400 manager italiani, in questo caso nell'industria, ma anche nei servizi, chiedendo loro informazioni sullo stato della produzione, degli ordini, dell'occupazione, sui prezzi in entrata ed in uscita e le loro aspettative per il futuro. Generalmente dati sopra 50 indicano un'espansione del settore in questione, sopra 60 una forte crescita e verso 70 un boom generalizzato ad ogni componente del settore in questione.
Di certo non mi reputo un pessimista cosmico, ma un anno fa mai mi sarei aspettato un recupero così dinamico, a tutti gli effetti una V. Guardando al consumo di gas per il settore industriale (il primo dato che viene rilasciato, da Snam) ed ai consumi elettrici industriali di Terna abbiamo che anche a Maggio i livelli, corretti per i giorni lavorativi, siano superiori a quelli del Maggio 2019. Ora la più grande sfida del settore è il notevole rincaro delle materie prime su cui tornerò dopo. Al momento l'Italia è ancora l'unico paese tra i grandi 4 dell'UE ad aver recuperato i livelli di produzione antecedenti la pandemia (media primo bimestre 2020) - la Spagna quasi (-1%) mentre Francia e Germania sono al momento più indietro (-6%), tuttavia per fortuna i dati degli ordinativi, superiori in Germania del 10% rispetto a Febbraio 2020, lasciano presagire un recupero nei prossimi mesi che dovrebbe offrire un ulteriore slancio anche alla produzione italiana.
Questo è il
grafico sull'evoluzione della produzione nei vari comparti del manifatturiero italiano da Febbraio 2020 ad Aprile 2021. I macchinari sono il comparto più pro-ciclico in assoluto e segnano ancora una produzione in lieve riduzione rispetto al periodo pre-Covid perché il ciclo di investimenti in giro per il mondo si sta appena riavviando in questi ultimi mesi. Gli
ordinativi di macchinari, spinti dal
mercato interno (qui la fonte è l'Ucimu, l'associazione dei costruttori italiani di macchine utensili), lasciano presagi positivi sul fatto che la produzione anche in questo comparto torni con velocità a valori superiori al 2019.
Magari intuitivamente si potrebbe pensare che il settore farmaceutico sia quello che stia riscontrando i livelli produttivi più soddisfacenti in questo periodo. In realtà non è affatto così. Anzi: è quasi il contrario. La ragione è dovuta al fatto che la pandemia e le chiusure abbiano rallentato contemporaneamente farmaci anti-influenzali, prodotti anti-patologie la cui diagnosi o cura potrebbe essere stata rallentata dal blocco delle operazioni negli ospedali sopraffatti dagli ospedalizzati per Covid, così come prodotti quali antibiotici, pomate anti-dolorifiche o per la cura degli strappi muscolari che per essere prodotte richiedono... che la gente esca di casa e si faccia male (situazione esemplificata dalla crisi della
Teva in Lombardia - che va detto sia un'azienda caratterizzata da basso valore aggiunto e scarsa redditività da prima della pandemia, a differenza della stragrande maggioranza del settore farmaceutico che vede numerose aziende crescere ed investire). In generale penso che la ripresa in questo settore dovrebbe essere particolarmente rapida a mano a mano si torni alla normalità.
Il settore più colpito è il sistema moda. È stato molto impattato dalle chiusure e le vendite non si sono mai riprese con forza a differenza di molti altri settori, anche a causa immagino di fenomeni come il lavoro da remoto. Il mercato cinese ha un po' tenuto a galla questo settore nei mesi peggiori della crisi e si spera che le riaperture da Marzo in poi negli Stati Uniti ed in queste settimane in Europa riportino commesse e vendite per una filiera che rimane molto importante per l'industria nazionale. Il sistema moda era tuttavia in difficoltà anche prima del Covid ed è assolutamente necessario che continui a salire la catena della qualità e del valore e favorire la concentrazione e la crescita dei grandi marchi del lusso.
Quello che sta andando alla grande è la produzione di apparecchi elettrici, in primis elettrodomestici, questi in rialzo di oltre il 20% rispetto al valore produttivo pre-Covid. La ragione è che in giro per l'Europa parte della spesa in settori chiusi dalle restrizioni sia stata dirottata in questo comparto, come in quello dei mobili e dell'arredamento.
Il settore della raffinazione petrolifera ha vissuto un recupero negli ultimi due mesi ma è ancora parecchio sotto il pre-Covid per via del fatto che gli spostamenti (specie ad Aprile) fossero ancora molto depressi.
L'industria metalmeccanica sta riscontrando buoni livelli produttivi, favoriti anche dai prezzi in netto rialzo. I prezzi si sono alzati così tanto persino da permettere all'Ilva di chiudere il primo trimestre in attivo finanziario, stando alle dichiarazioni di Giorgetti. Da Gennaio inoltre lo stabilimento tarantino è passato dalle 10 alle 14 mila tonnellate giornaliere di produzione, credo il massimo degli ultimi 4 anni e mezzo, per quanto sia ancora ben sotto la capacità produttiva se i 5 altiforni viaggiassero tutti a pieno regime.
L'industria alimentare è invece la più anti-ciclica (nel senso non sente di certo la recessione nel ciclo degli investimenti) ed ha spinto un forte aumento nell'export italiano di prodotti alimentari e bevande nei mesi del primo lockdown che tuttora persiste. Malgrado nel dibattito politico spesso si esageri l'importanza che la filiera agroalimentare rivesta nel made in Italy, rimane un settore davvero rilevante per l'occupazione in giro per l'Italia, in particolar modo al Sud dove ricopre un ruolo di primo piano.
L'automotive in giro per il mondo ultimamente sta accusando molto il colpo dato dalla mancanza di chip. In Italia rispetto al pre-Covid non vi è tuttavia un calo grazie all'introduzione nell'ultimo anno della Jeep Compass e della 500 elettrica che hanno più che compensato cali in altri modelli. In Europa tra i grandi paesi il calo della produzione di autoveicoli nel 2020 va dal -15% dell'Italia (che è stata favorita anche dal notevole peso che rivestono i furgoni nella produzione nazionale, visto che le fabbriche che li producono sono tornate a pieno regime già da Maggio 2020) al -44% della Francia che riflette il confronto con un 2019 che vedeva ancora la produzione di modelli di cui è stato poi completato lo spostamento all'estero (nello specifico la Peugeot 208, la 2008 e la Renault Clio) in attesa della partenza di nuovi modelli previsti quest'anno. La produzione italiana salvo peggioramenti della crisi dei chip dovrebbe restare stabile sino al 2022 quando dovrebbero arrivare diversi nuovi modelli nelle fabbriche italiane, in primis l'Alfa Romeo Tonale ed il gemello a marchio Dodge di cui si parla. La Bosch ha aperto un nuovo impianto di produzione di semiconduttori a Dresda, inizialmente per gli elettrodomestici e da Settembre anche per le auto (tecnologicamente più complessi). Secondo lo scenario attuale la carenza dei chip dovrebbe toccare il picco questo trimestre ed essere assorbita nel corso del prossimo anno. La Intel ha offerto la possibilità di costruire un sito in UE a patto che quest'ultima o lo stato in questione contribuisca con 8 miliardi di euro, giustificando che il mercato europeo dei chip non è grande come quello asiatico e che un investimento del genere sarebbe particolarmente esoso. Nel PNRR c'è un piano da 750 milioni di euro che a quanto pare potrebbe essere usato per contribuire all'espansione dello stabilimento STMicroelectronics di Catania. Inoltre, il governo in questi giorni sta trattando con Stellantis per favorire la costruzione della terza fabbrica di batterie del gruppo nel nostro paese.
Per molti versi la crisi 2009 fu peggiore. Farò alcuni confronti tra le due recessioni più giù. Legandosi al settore industriale, un altro esempio può essere nell'autotrasporto dove all'epoca numerose aziende erano in forte difficoltà, oggi il problema maggiore è che manchino gli autisti, nonostante la forte concorrenza delle imprese dell'Est europeo, messa leggermente a bada dalle nuove norme approvate dal nuovo pacchetto mobilità approvato dall'UE a Luglio dello scorso anno.
Per quanto riguarda le
vendite al dettaglio (qui ho usato i dati che l'Istat fornisce all'Eurostat per le vendite a valore corrette per l'inflazione mentre l'Istat pubblica quelle a valore corrente ed a volume - ad ogni modo parliamo di decimali di differenza), incredibilmente la terza ondata che ha comportato le messa in zona rossa in contemporanea di molti più italiani rispetto alla seconda (allego
grafico del buon Lorenzo Ruffino) ha avuto un effetto sulle vendite quasi trascurabile, a differenza della seconda (lasciamo perdere la prima per ovvie ragioni). Nelle stime che faccio per me stesso per Marzo mi aspettavo un calo come quello di Novembre invece è stato appena dello 0,9%, seguito da una risalita dello 0,2% ad Aprile. Marzo è stato probabilmente aiutato dalla Pasqua (quasi) bassa di quest'anno che ha fatto ricadere parte delle spese della Settimana Santa nei giorni di competenza di Marzo. Aprile è stato a sua volta sostenuto dall'ultima settimana di riaperture. In ogni caso, molto notevole non ci sia stato alcun forte calo. Per Maggio-Giugno, specie con la riapertura per la prima volta da Novembre dei centri commerciali nei fine settimana e la fine totale delle restrizioni ai movimenti, possiamo attenderci quantomeno un ritorno ai valori di Agosto-Ottobre, sperando di fare anche meglio.
Nel complesso la limitazione agli spostamenti malgrado la quota di popolazione nelle zone rosse è stata meno marcata sia rispetto al previsto sia alla seconda ondata, come evince sia dai
dati Google sulla mobilità degli italiani sia dal consumo di carburanti: l'Unem (ex Unione petrolifera) stimava - secondo i loro modelli che tengono conto dell'intensità delle misure anti-pandemiche - a Marzo un recupero di 500 mila tonnellate di petrolio consumate in Italia rispetto a Marzo 2020, che poi è stato di oltre 700 mila (su quasi 1 milione e mezzo perso a Marzo 2020 rispetto al 2019). Ciò, malgrado le chiusure, ha contribuito a non far cadere in contrazione il PIL del primo trimestre.
Per quanto riguarda il
grafico che avevo fatto col PIL settimanale, a posteriori lo confermo ma ho giusto due correzioni; Luglio dovrei averlo leggermente sopravvalutato: visto che per quanto le restrizioni anti-Covid fossero al minimo, l'industria, il commercio e diversi settori dei servizi erano in parte ancora storditi dal lockdown totale e dovevano ancora riavviarsi a pieno. Ottobre l'ho invece sottovalutato, né a Novembre si dovrebbe mai essere arrivati a perdere 10 punti. Ho scelto di non farne un secondo perché pur avendo qualche idea di andamento in linea di massima sarebbe stato esercizio tanto superfluo quanto complicato (avrei dovuto ipotizzare una perdita di PIL per ogni zona e calcolare quella effettiva in relazione al colore delle regioni in base al loro peso nell'economia nazionale ecc.). Ad ogni modo, su base mensile non sarebbe invece complicato effettuare ipotesi di questo tipo.
Da Dicembre 2020 l'Ocse tiene un tracker di attività settimanale, realizzato tramite i trend di Google sulle informazioni per consumi o sulle paure circa lo stato dell'economia elaborati da API di machine learning (
qui per maggiori informazioni) per stimare l'evoluzione delle economie. Il loro grafico per l'Italia è
questo. Ho tuttavia alcune rimostranze che sono scaturite probabilmente dall'eccesivo peso dato alle ricerche Google. Ad esempio nell'ultima settimana analizzata vede l'Italia sotto solo di un -2,8% rispetto ai valori pre-Covid, apparentemente il dato migliore dalla fine di Febbraio 2020. Per quanto sia più che plausibile che l'Italia abbia avviato il mese corrente in buona forma, ho dubbi rispetto al dato in questione, specie poi se lo mettiamo in confronto al -5,1% della Francia nella settimana 30 maggio - 5 giugno e non c'è nulla che giustifichi un tale gap con il paese transalpino, visto che tra l'altro parliamo dopo delle riaperture del 19 maggio (simili alle nostre del 26 aprile). Gap che è in realtà dovrebbe essere sempre stato negativo per noi (non di molto in realtà, tanto più visto il differenziale nelle dinamiche demografiche), ma pur sempre negativo. A mio avviso il punto di massimo dopo la comparsa del Covid l'Italia lo ha raggiunto ad Agosto con massimo 3 punti di PIL persi rispetto al livello pre-Covid (mettiamo l'ultimo trimestre 2019), ed ora, giunti alla metà di Giugno, stimo che siano 4 (la media dei mesi del quarto trimestre 2020 e del primo trimestre di quest'anno era quasi 7), con buone prospettive di arrivare perlomeno a quota -2% nell'Agosto prossimo venturo.
I primi dati di cui ho parlato sopra mostrano come Aprile non abbia dato un contributo eccessivamente negativo al trimestre corrente ed una convergenza ai valori del terzo trimestre 2020 mi sembra dunque coerente per questo secondo trimestre. Mi auguro un dato ancora più forte il prossimo, seguito magari da un qualche rallentamento per il quarto trimestre, con il periodo autunnale che potrebbe vedere un assestamento delle misure più lievi di contenimento della pandemia, e poi il ritorno progressivo ai livelli pre-Covid una volta che tutte le misure dovrebbero essere rimosse. Probabilmente le misure di distanziamento sociale e gli inviti a limitare gli spostamenti comportano una perdita strutturale di un paio punti sui livelli del 2019 (ben più se è bloccato il turismo, ma questo è un altro discorso - allo stesso tempo non significa che non si possa andare oltre se altri settori dovessero crescere). Ritengo che certe economie possano già tornare ai livelli pre-pandemici, malgrado il protarsi di qualche lieve misura anti-contagio, già per il prossimo trimestre.
Questo è il grafico sull'evoluzione del PIL nelle principali economie europee dal quarto trimestre 2019 all'ultimo. Per quanto risulta al momento, possiamo affermare che questa sia la prima recessione dalla prima metà degli anni '90 dove siamo di fronte ad una crisi in cui l'Italia non fa strutturalmente peggio rispetto alla media degli altri grandi paesi, che è poco, ma purtroppo non banale per nulla, specie alla luce delle divergenze demografiche.
I
consumi privati sono l'aggregato in cui l'Italia fa peggio rispetto alla Germania ed alla Francia, in particolar modo per un crollo nella spesa per i servizi, mentre gli
investimenti fissi lordi (e per certi versi la bilancia commerciale di beni e servizi) vedono l'Italia fare meglio degli altri paesi ed eccedere addirittura i livelli pre-Covid. Nel caso degli investimenti il risultato è ottenuto sia grazie ad una buona ripresa degli investimenti delle imprese industriali ma in particolare agli investimenti nelle costruzioni (che approfondirò dopo), sostenuti sia dall'arrivo della ripresa nel settore sia dagli investimenti statali che dal 2019 stanno risalendo a doppia cifra dopo un decennio di riduzione, in attesa dell'implementazione del PNRR che a regime li spingerà molto di più.
Il buon recupero vissuto dall'Italia nel terzo trimestre e l'aver evitato un'ulteriore contrazione nel primo trimestre sono ambedue principalmente dovuti proprio alla componente degli investimenti. Generalmente le recessioni vedono invece quest'ultimo aggregato fare molto peggio della media. Al contrario questa crisi ha colpito molto di più i settori "non-tradable" (per ovvie ragioni), interessati marginalmente dalla crisi del 2009, che rende sulla carta il recupero più facile. Facendo una ipersemplificazione, se 1 miliardo di valore aggiunto perso, per dire, nel comparto delle macchine utensili pesa sì quanto 1 miliardo di consumi persi in servizi di ristorazione, gli effetti che queste perdite provocano sia nella struttura dell'economia sia nelle sue capacità di recupero non sono affatto paragonabili. Pur avendo la seconda perdita effetti a riverbero molto pesanti, ha la capacità di riprendere appena la situazione e le misure permettano di farlo e né vi sono problemi di carenza di offerta in quel senso. Se invece chiudesse, tornando all'esempio di prima, un'industria meccanica, è probabile che le quote produttive siano assorbite da imprese estere - specie se vi è una scarsa competitività del sistema paese, e che non vi sia di conseguenza alcun recupero poi. Questo fu un enorme problema nell'Italia nel 2009, e non sembra esserlo ora. Ciò appunto comporta che il recupero sia molto più immediato rispetto alle crisi precedenti.
Tornando ai consumi, nel terzo trimestre 2020 la spesa delle famiglie italiane per beni durevoli ha toccato il massimo storico, risultando superiore sia ai valori del 2019 sia quelli del 2007, contro cui, è bene non dimenticare mai, sussisteva anche prima del Covid un dislivello notevole in molti settori dell'economia italiana. I dati Istat sull'opportunità attuale all'acquisto da parte dei consumatori di beni durevoli danno un ottimo segnale, a Maggio si è avuto il secondo dato più alto dall'inizio delle rilevazioni nel '98. La ragione di questo andamento è proprio che parte dei soldi risparmiati per via delle chiusure stiano venendo spostati su questi settori.
La Francia ha avuto un ottimo recupero della spesa delle famiglie che le ha permesso un recupero in linea con quello tedesco, a fronte tuttavia di un ulteriore aggravio del disavanzo commerciale (anche a nostro vantaggio -
qui i dati francesi, logicamente import ed export sono invertiti rispetto al nostro punto di vista). La Germania in quest'ultimo trimestre è stata colpita molto pesantemente dalle restrizioni, sino al livello quasi paradossale di consumi non così superiori ai valori del secondo trimestre 2020, quando le restrizioni furono inizialmente molto forti ma durarono meno.
Per quanto riguarda la spesa in beni finali da parte delle pubbliche amministrazioni (da non confondere con la spesa pubblica, di cui ne è ovviamente parte) abbiamo che è cresciuta indicativamente della stessa misura (qualche punto) in tutti i paesi eccetto in Francia dov'è rimasta stabile. Uno dei motivi della crescita potrebbe essere proprio l'acquisto da parte dei governi dei DPI o la copertura economica di una parte dei test. Nel Regno Unito l'ONS, il loro Istat, aveva applicato una correzione a questa spesa per tenere conto dei lockdown e della mancanza di erogazione da parte dello Stato di certi servizi che vanno a comporre la spesa. Questo è effetto è stato poi riassorbito con le riaperture dei trimestri successivi.
Occorre fermarsi un attimo sulla dinamica della produttività. Principale cagione dei mali italiani degli ultimi 25 anni. In Italia nel 2020 nel complesso è
cresciuta più del 2%, contro una stagnazione negli altri grandi paesi.
Qui l'andamento della produttività per trimestre nei 5 paesi e
qui quello delle ore lavorate. Interessante notare come l'andamento di quest'ultime (in ogni caso il dato da guardare più degli occupati, praticamente quasi inutili a livello statistico in un momento del genere) sia pressoché sovrapponibile negli ultimi trimestri tra i vari paesi e che le differenze dell'andamento del PIL dipendano essenzialmente dal primo indicatore, la produttività. Questo buon andamento della produttività unito alla mancanza di rinnovo di numerosi contratti collettivi giunti alla scadenza e secondariamente alle decontribuzioni al Sud ha comportato il fatto che il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP - altro non è che la differenza tra crescita delle retribuzioni nominali e della produttività del lavoro), un'importantissima misura di competitività, abbia riscontrato tra gli
aumenti più bassi dell'Ocse.
Il dato italiano segnala la presenza, in Italia decisamente più che altrove, di un forte dualismo all'interno dell'economia tra lavori a medio-alto valore aggiunto, intaccati magari dal lockdown della prima ondata ma tornati progressivamente a marciare e lavori poveri, spesso precari, colpiti sproporzionatamente dalle conseguenze della pandemia, con gravi conseguenze per chi lavora in tali settori. Ad una prima occhiata la principale ragione dell'aumento della produttività vissuto dall'Italia nel 2020 potrebbe rientrare nei casi del
paradosso di Simpson, ovvero il fatto che i lavori a più bassa produttività siano stati colpiti più intesamente ha fatto alzare la media. Ciò riveste infatti una grande ruolo nel giustificare tale aumento, ma non è l'unica ragione. In settori come l'industria manifatturiera l'andamento della produttività è solitamente pro-ciclico in quanto il valore aggiunto è legato al tasso di utilizzo della capacità produttiva che nelle crisi scende e quindi peggiora l'efficienza dell'input di lavoro e scende di conseguenza anche il numeratore. Invece anche in questo settore la produttività è salita rispetto ai valori pre-Covid. La mia teoria personale per spiegare tale andamento è legata alla facilità con cui le imprese abbiano fatto ricorso alla CIG negli ultimi 15 mesi (difatti c'è una certa correlazione tra l'
andamento della CIG per 1000 ore di lavoro e quello della produttività italiana di cui sopra). Avendo la c.d. "cassa Covid" ben poche limitazioni ed essendo accessibile a chiunque, le imprese italiane l'hanno utilizzata con ben poca remora, aumentando quindi la produttività marginale per addetto come prescriverebbe il modello neoclassico e di conseguenza il loro margine di profitto, a netta differenza delle scorse crisi. Nell'industria manifatturiera il mark-up degli ultimi tre trimestri è ai valori più alti dalla seconda metà degli anni '90, cosa che mette le imprese italiane in una buona posizione per reggere alle pressioni ai margini date dal rincaro delle materie prime. Nella media dell'economia è ai valori più alti da metà anni '00. Ricordiamo che il mark-up è la differenza tra prezzo di un bene ed il suo costo e l'Istat lo calcola come rapporto fra il deflatore dell'output ed i costi unitari variabili. Stesso discorso per la
quota di profitto, tornata ai valori del 2016-17, ai massimi quindi dell'ultimo decennio.
Nelle crisi passate invece le imprese hanno optato per il "labour hoarding" che ne ha diminuito l'efficienza e contribuito alla stagnazione della produttività. Questo potrebbe anche essere dovuto a nobili ragioni di stampo sociale ma nel complesso rallenta ed ingabbia il sistema economico rallentandone la capacità di reggere agli shock e trasformarsi. Più ovviamente ci sono stati altri fattori, come la tenuta degli investimenti che ha effetti diretti sulla produttività. Comunque tale situazione dovrebbe suggerire al decisore politico che una riforma per semplificare i licenziamenti in cambio di un sussidio di disoccupazione più efficiente ed inclusivo potrebbe essere buona cosa per rendere più dinamico il mercato del lavoro italiano e le aziende più prone alle necessarie ristrutturazioni. Non a caso Draghi aveva fatto riferimento ad una riforma degli ammortizzatori sociali in programma.
Se ciò ha trasferito parte delle perdite private nel conto del deficit pubblico (
qui i deficit degli stati dell'UE nel 2020), ha permesso alle imprese di restare competitive e mantenere quote di mercato e disponibilità per gli investimenti, ovvero il contrario di quanto avvenne nel 2009 e di nuovo nel 2012 quando la produttività italiana calò durante la crisi diminuendo quindi i profitti delle imprese e portandone molte fuori mercato. Nel frattempo la Spagna, che si ripuliva dalla bolla dell'edilizia, invece aumentava la produttività ponendo le basi per la forte ripresa economica nella seconda metà dello scorso decennio, recupero che tuttavia è stato ad alta intensità di lavoro ed ha visto la produttività praticamente stagnare (come per certi versi quello italiano).
Il
risparmio delle famiglie in giro per l'Europa continua ad essere ai massimi. Anche qui in contrapposizione con quanto avvenuto in Italia nella crisi del 2009 e del 2012, quando il tasso di risparmio scese. Le restrizioni stanno portando all'accumulazione di un grande massa di risparmi, una cui parte potrebbe essere rimessa in circolo e spesa al momento dell'apertura dell'economie, ovvero da ora in poi (per quanto sia risparmio accumulato principalmente dalle famiglie a medio-alto reddito, la cui spesa per consumi nel 2020 è scesa più rispetto alle famiglie più povere, proprio per la più alta incidenza di consumi in settori impattati dalla restrizioni). In Germania ed in Francia il tasso di risparmio è cresciuto di più che in Italia o in Spagna senza che i consumi dei primi due avessero avuto un andamento peggiore. La ragione sta nella miglior tenuta dei redditi in questi paesi (addirittura in crescita rispetto al periodo pre-Covid, grazie al supporto statale), rispetto all'Italia o alla Spagna. In Italia per esempio la più alta quota di lavoratori autonomi e il massimale della CIG hanno impedito un supporto maggiore ai redditi dei lavoratori.
Parte del risparmio accumulato dalle famiglie sta venendo messo ad impiego nel settore immobiliare. È proprio l'edilizia ad occupare un ruolo di rilievo nel recupero economico post-Covid. Per più ragioni. L'immobiliare, e con esso l'edilizia, vanno a cicli. L'attività edile italiana è stata un encefalogramma piatto sino al 2018, quando si è avviata finalmente un certa ripresa, accelerata dalla fine del lockdown della scorsa primavera, che vede a Marzo
livelli del 20% superiori rispetto alla media 2015-17. Ovviamente tali livelli rimangono di gran lunga inferiori alla media storica (nel grafico ho messo i Marzo degli ultimi 16 anni per fare il paragone), ed ancor di più al picco massimo raggiunto tra la fine del 2006 e l'inizio del 2008 che dovrebbe essere stato l'apogeo dei livelli di costruzione in Italia assieme al 1970-71. Le famiglie stanno dunque impiegando parte dei grandi risparmi accumulati sotto il periodo pandemico in un momento di tassi bassissimi per investire in abitazioni, trend che riscontriamo in tutto il mondo occidentale del resto, o in ristrutturazioni, sostenute dal nuovo superbonus. L'Italia nel primo trimestre ha visto
162 mila compravendite di abitazioni secondo i dati dell'Agenzia delle Entrate, tornando sopra il primo trimestre 2008; un valore più simile a quello dei fasti di metà anni 2000 che a quello dei minimi a metà dello scorso decennio. La quota di nuovo sulle compravendite dovrebbe essere al minimo storico (15%) contro un 35% alla fine degli anni 2000. Prevedibile, visto che l'Italia di quel periodo sfornava 250 mila nuovi appartamenti all'anno ed in questi ultimi anni appena 50 mila. Anche le attività nel settore non-residenziale sono in forte ripresa spinte dal boom della logistica e come dicevo sopra dalla ripresa degli investimenti pubblici in infrastrutture.
Breve commento sul turismo. La scorsa estate molti italiani che generalmente si dirigono all'estero hanno preferito fare le vacanze all'interno del paese, cosa positiva per l'economia nazionale. Questa cosa ha messo l'Italia in una posizione più vicina a paesi come Germania o Francia che a quelli mediterranei che dipendono estremamente dal turismo estero come ad esempio Grecia o Croazia (persino la Spagna, lontanamente), dove la popolazione domestica non è assolutamente sufficiente a compensare anche solo parzialmente i movimenti turistici stranieri persi. Inoltre anche la componente straniera che in Italia arriva generalmente in auto (come tedeschi o olandesi, che visitano soprattutto il Nord-Est o la Toscana) ha avuto sì un calo ma accettabile in un contesto come il 2020, contro il vero e proprio crollo ad esempio delle presenze inglesi in Spagna che giungono principalmente in aereo (ed in particolar modo al loro Sud o nelle isole). Addirittura ad Agosto l'Italia ha ottenuto lo stesso avanzo turistico del 2019 (spese degli stranieri per turismo qui - spese degli italiani fuori, con una riduzione del 40% delle prime e del 66% delle seconde), un unicum nell'Europa Meridionale. Fermo restando il fatto che molte località in giro per l'Italia come le città d'arte o la Costiera Amalfitana hanno sofferto estremamente per la mancanza del turismo straniero, in particolar modo americano.
Da far notare come l'Italia, stando ai dati preliminari tedeschi, per la prima volta nella storia abbia raggiunto la Francia per livelli di export in Germania nei mesi di Marzo ed Aprile di quest'anno, contro una differenza del 20% che persisteva nello stesso periodo del 2019 e malgrado lo stacco sia nella popolazione sia nelle dimensioni dell'economia tra i primi due paesi non sia mai stato così grande in tempi storicamente recenti. Ciò è in parte dovuto al fatto che nelle esportazioni italiane verso la Germania siano prodotti quali i lavorati in metallo a fare la parte del leone, spinti dall'aumento del loro prezzo, ma anche dei volumi, visto che i dati trovano effettivamente riflesso sulla dinamica della produzione industriale. La Francia invece vi esporta molti aerei o parti di aereo, settore colpito pesantemente dal Covid (ma che si sta riprendendo). Questa è una delle ragioni per cui nel 2020 ed anche in questi ultimi mesi del 2021 l'Italia abbia preso dalla Francia il posto di terzo esportatore dell'UE dopo Germania e Paesi Bassi. Positivo poi che le imprese italiane abbiano saputo adattarsi alle complicazioni logistiche legate alla Brexit (che in questo periodo comunque colpiscono più le imprese inglesi piuttosto che quelle comunitarie): dopo un primo trimestre di forte calo, ad Aprile l'export italiano nel Regno Unito è tornato alla crescita rispetto ad Aprile 2019 (+4%, contro un calo del 18% lato import).
Il buon recupero dell'export italiano ed il non dipendere eccessivamente dall'avanzo turistico ha comportato il fatto che l'Italia sia stata l'unica grande nazione europea ad incrementare il saldo delle partite correnti come % del PIL nel 2020. Rispettivamente dal 3,2 al 3,6%, contro un calo in Germania dal 7,5 al 7%, in Francia dal -0,7 al -1,9%, in Spagna (che fa il suo avanzo grazie al turismo, mentre l'Italia grazie alle merci) dal 2,1 allo 0,7%, in Regno Unito dal -3,1% al -3,5% (tuttavia il 2019 era stato l'anno col deficit più basso dal 2011 in particolar modo per via di movimentazioni di oro nell'ultimo trimestre).
Di nuovo, questa situazione per fortuna per l'Italia è l'opposto di quanto accadde nel 2010-11 quando i consumi ripartirono molto più velocemente della produzione provocando un notevole aggravio del deficit delle partite correnti che arrivò a superare il 3% del PIL, un grave squilibrio risolto dal Governo Monti. Si può affermare che quella fosse particolarmente una crisi di offerta e di competitività, questa del 2020 una vera e propria crisi da domanda oppressa causa pandemia. Un altro problema che affliggeva l'Italia sino ad allora era proprio la presenza di pressioni inflattive più alte di altri paesi dell'Eurozona come Germania o Francia senza che ciò fosse in alcun modo giustificato da perfomance economiche migliori della media (tutt'altro!) e ciò contribuì alla perdita di competitività e di profitto delle imprese verificatasi negli anni 2000 che riveste una grande importanza nelle ragioni del declino italiano. Quella del 2011 fu una crisi non solo di debito pubblico ma anche e per certi versi soprattutto di debito estero. L'Italia aveva accumulato negli anni precedenti un debito con l'estero (per quanto riguarda noi soprattutto lo Stato più che il settore privato, rispetto ad altre nazioni colpite da questo problema) per finanziare il suo disavanzo commerciale. Quando c'è una crisi e perdita di fiducia verso un paese, succede che gli investitori chiedano i soldi indietro o accettino di darli ai tassi che reputano corretti in relazione al rischio, con tutto ciò che ne consegue. Avendo invertito la sua posizione con l'estero ora invece l'Italia di capitali ne è esportatrice netta, reinvestendo i soldi dell'avanzo delle partite correnti all'estero ed incassando quindi poi i profitti, gli utili e le rendite. Questo discorso merita un approfondimento nei particolari che avrò premura di fare in un altro lavoro in futuro. Ovviamente vantare nutriti avanzi di conto corrente come l'Italia negli ultimi anni non la mette al riparo da perturbazioni (autoinflitte) come quella del 2018, avvenuta tra l'altro in contemporanea all'esaurirsi dei nuovi acquisti da parte della BCE, proprio perché la situazione dei conti pubblici e del paese è ancora particolarmente sensibile. Tuttavia, questo in aggiunta allo scudo protettivo che la BCE non ha mancato di erogare, mette l'Italia in una posizione più comoda per il presente e per il futuro e da cui avviare riforme e consolidare quanto fatto per mettere in sicurezza e rendere competitivo il sistema paese.
Come accennavo sopra l'Italia, nella seconda metà dello scorso anno, è tornata ad avere una
posizione patrimoniale netta attiva verso l'estero per la prima volta dal 1984. Significa che il valore degli asset esteri detenuti da imprese e famiglie italiane supera il valore di quelli italiani detenuti da stranieri, con buona pace di certe narrative che vorrebbero l'Italia preda in questo senso. Ciò è stato possibile sia grazie al QE che ha abbassato i tassi d'interesse domestici dell'intera economia e quindi gli interessi che escono dall'Italia ma soprattutto grazie all'investimento all'estero degli avanzi di conto corrente. Questo è un altro tassello di una relativa progressiva giapponesizzazione dell'Italia - che non intendo con un'accezione del tutto negativa, ritengo anzi che mettersi su tale percorso e prendere a modello gli aspetti positivi di tale economia (su tutti la crescita della produttività) sia una condizione necessaria, considerato lo stato attuale di non pochi indicatori simili a quelli giapponesi, alla ripresa dell'Italia.
La presenza di un'inflazione moderata ma positiva nella Zona Euro ed inferiore alla media in Italia, comporta un aumento di competitività. In che modo? Facciamo un esempio con numeri a caso. Un operaio italiano costa alla sua azienda 2000 euro al mese (e col suo lavoro ne porta 2700, alla sua impresa), quello tedesco 3000 (e ne porta 4000). Se per 5 anni l'inflazione in Germania è al 3% ed in Italia all'1%, per mantenere lo stesso salario reale, l'operaio tedesco sarà arrivato a costare quasi 3500 euro, mentre quello italiano 2100 (nella realtà il gap dell'inflazione è più piccolo ma vi è anche un differenziale nella dinamica del salario reale). Non potendo ovviamente svalutare, la Germania perderebbe competitività almeno che non compensi il differenziale di aumento della retribuzione nominale con un analogo aumento della produttività. I prodotti tedeschi verrebbero a costare di più in Italia visto che la crescita del loro prezzo sarebbe maggiore dell'inflazione domestica mentre il contrario avverrebbe coi prodotti italiani in Germania. Un ragionemento simile può valere col turismo per i paesi che hanno poco da offrire a livello industriale. Mantenendo la crescita dei prezzi al consumo inferiore alla media, il paese in questione diventa più economico agli occhi dei turisti stranieri, a danno sia delle vacanze all'interno del loro paese sia a quelle nei paesi esteri concorrenti.
Questo processo si chiama svalutazione interna, che può essere accelerata dalla volontà di accettare un blocco all'aumento delle retribuzioni e quindi perdita di salario reale o direttamente dalla contrazione delle retribuzioni nominali. Quest'ultima cosa è altamente impopolare e si rende necessaria più che altro in periodi di deflazione e di crisi generalizzata, ovvero di crescita dei salari zero anche nei paesi più forti. Quando questi recuperano ed i salari riprendono a crescere con vigore, basta invece mantenere l'inflazione interna a livelli inferiori alla media.
Questo processo sta avvenendo negli ultimi anni più che altro per merito della Germania giunta alla piena occupazione e dove le richieste sindacali iniziano a bussare alla porta con insistenza, sia per aumenti salariali (e quindi maggiore inflazione) sia con riduzione delle ore a parità di salario, con uguali risultati per l'unità di misura che conta, ovvero costo per ora lavorata. Nel primo trimestre 2021 rispetto allo stesso del 2016 il CLUP è cresciuto del 4,9% in Italia, del 12,6% in Germania, del 5,4% in Francia e dell'11,2% in Spagna. Quello che è mancato in Italia è stata una correzione durante la crisi a cavallo fra i due decenni precedenti (sia per la povera dinamica della produttività sia per mancanza di riforme quali la contrattazione decentrata) a netta differenza ad esempio della Spagna, ed una inversione di tendenza sta appunto avvenendo solo negli ultimi anni.
Di nuovo sull'inflazione e carenza di materie prime. A Maggio ha raggiunto il 5% negli Stati Uniti ed il 2,5% in Germania. Ne avevo scritto a riguardo nell'ultima parte di questo
commento al quale rimando.
Proseguo nei commenti.
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